La visione
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Continuavo a vagare senza una meta precisa attraverso i boschi in cui mi ero addentrato già da diverse settimane. La luce fioca e soffusa del plenilunio trafiggeva a tratti la fitta vegetazione boschiva, rendendomi così ancora visibile e percorribile il sentiero d’innanzi a me.
Una nebbia sottile e spettrale saliva dal terreno e, come animata da una brezza leggera ed impalpabile, sembrava scortare il mio passaggio richiudendosi più fitta di prima alle mie spalle. La realtà era che mi ero perso, come avrei ben compreso di lì a poco.
Vagai per un tempo indefinito. Ogni albero sembrava identico al precedente, ognuno con radici possentemente avvinghiate al suolo e nodi e nervature così profonde nella corteccia che parevano occhi e bocche impegnate grottescamente ad osservare il mio passaggio, talvolta sbeffeggiandomi, altre compatendo la mia raminga solitudine. Stavo per perdere le speranze. La nebbia mi aveva praticamente sopraffatto, bisbigli e sussurri sembravano chiamarmi dalle zone più oscure del bosco.
Improvvisamente la mia attenzione venne attratta da quella che sembrava la figura di una giovane donna che stava poco più avanti rispetto a dove mi trovavo. Camminava scalza, avvolta da una tunica di seta ed era come contornata da un flebile bagliore che rendeva i suoi capelli color dell’argento.
Affrettai il passo per raggiungerla ma un grido agghiacciante, come di mille voci all’unisono, ruppe il silenzio della fredda aria notturna. Portai istintivamente le mani alle orecchie guardandomi tutt’attorno atterrito e vidi la giovane donna scappare attraverso la fitta vegetazione ed io terrorizzato iniziai ad inseguirla. Sentivo di essere preda, braccato da qualcosa, forse un animale selvatico. Ne avvertivo la presenza alle mie spalle senza avere il coraggio di voltarmi. Correvo, correvo cercando di raggiungere la fanciulla dai capelli argentati.
D’un tratto il bosco lasciò spazio ad un enorme altopiano brullo sovrastato da un’imponente montagna la cui cima pareva recisa di netto: contornata da nuvole cremisi rigurgitanti lampi e fulmini, l’oscura altura proprio al centro dell’immenso pianoro sembrava essere la meta verso la quale la fanciulla si stava velocemente dirigendo.
Mentre correvo boccheggiante per lo sforzo, attraverso le sterpaglie iniziai a notare strane protuberanze che spuntavano qui e là dal terreno. Preso com’ero dall’inseguimento inizialmente non ci feci troppa attenzione, fino a quando una di quelle mi fece inciampare: osservandole meglio inorridii, constatando che si trattava di mani e braccia umane che uscivano dal terreno. Tutta la piana ne era cosparsa, alcune sembravano dimenarsi come pesci appena pescati nel disperato tentativo di scampare all’asfissia.
I tuoni lontani portavano l’eco di voci strazianti mentre l’aria si saturava di un fetore dolciastro e soffocante.
Nonostante questa visione agghiacciante, istintivamente accelerai la corsa, nel disperato tentativo di raggiungere la ragazza sperando che una volta toccata la sua pelle delicata tutto sarebbe finito ed io sarei stato finalmente in salvo. In prossimità della montagna la giovane donna si addentrò in un’oscura galleria apparsa alla base di un costone roccioso. Lo raggiunsi faticosamente inerpicandomi sulle rocce taglienti, rese pericolosamente scivolose dalla pioggia battente che aveva iniziato a perseguitarmi da qualche minuto.
Sconvolto dalla fatica ripresi fiato in prossimità della galleria. Ispezionai l’oscuro cunicolo che sembrava portare nelle viscere della terra ed emanava un odore nauseabondo: ciò nonostante un’ignota forza mi spingeva ad immergermi nelle tenebre, e così feci.
Errai nel buio totale per un tempo imprecisato: ogni minimo rumore, ogni sussurro che l’aria portava alle mie orecchie mi faceva sobbalzare. Mi resi presto conto non avevo più il controllo delle mie gambe e che queste mi stavano portando sempre più all’interno, sempre più in basso nel ventre della montagna. Dapprima flebile poi sempre più abbagliante, una luce lontana lacerò le tenebre: capii che stavo raggiungendo la fine della galleria.
Quando finalmente sbucai dall’altra parte, i miei occhi furono accecati. Portai d’istinto le mani sul viso e proruppi in un grido di dolore. Con il passare del tempo lentamente iniziai a riacquistare la vista: ciò che vidi mi lasciò senza fiato.
La montagna al suo interno era completamente cava. In alto potevo ammirare il cielo terso che faceva capolino dalle alte pendici rocciose. Ai miei piedi in tutta la sua maestosità si ergeva un’immensa città costruita su imponenti gradoni convergenti verso il centro del cratere. Mi lasciai alle spalle il cunicolo e timidamente mi portai al centro della piazza nella quale ero sbucato. I pennacchi delle torri lontane e tutti quegli edifici finemente decorati mi trasmisero un senso di pace e quiete profonda.
Mi avvicinai ad un parapetto al limitare della piazza e da lì potei ammirare il panorama della vallata. Con sorpresa vidi che la ragazza dai capelli argentati stava facendo altrettanto. Cercando di non spaventarla mi avvicinai lentamente e quando finalmente le sfiorai la spalla lei si voltò verso di me.
Quello che vidi in quel momento mi raggelò il sangue e per poco non svenni: una patina di pelle rugosa e putrida copriva dalla fronte al mento il volto della donna rendendolo inesistente.
Con un movimento fulmineo ed innaturale la donna mi afferrò il braccio; un dolore insostenibile mi pervase e potei sentire il rumore delle mie ossa spaccarsi sotto la potenza devastante di quelle presa scheletrica.
Tentai inutilmente di divincolarmi mentre, con unghie nere ed avvizzite e urla gutturali, la donna cominciò ad artigliarsi forsennatamente il viso scarnificandosi la zona orbitale. Come durante un pianto disperato rivoli di sangue rigarono le guance di quella macabra maschera. Dalle profonde ferite, contornate da lembi di pelle violacea, apparvero due orbite che si fissarono malignamente su di me. Volevo smettere di guardare quell’assurda scena ma il terrore mi aveva immobilizzato e, paralizzato, non riuscivo a staccare lo sguardo da lei. L’essere proseguì piantandosi l’indice poco sopra al mento e di scatto si provocò una lacerazione che assunse la forma di una bocca aperta in un sorriso inquietante dalla quale, tra fiotti di sangue, gengive marce e denti cariati, proruppe una risata che annichilì il mio spirito.
Solo in quel momento mi accorsi che stavamo volteggiando sopra la città come in una danza macabra: gli edifici maestosi erano ora ruderi fatiscenti, le torri erano in fiamme e ridotte ad ammassi diroccati e per le strade uomini e donne imploranti venivano massacrati da scheletri animati.
Ero impietrito, attraversato da spasmi di terrore e da conati di vomito. La creatura, rinsaldando la stretta con cui mi vincolava a sé, si lanciò vorticosamente nel vuoto verso il centro del cratere. Scendendo di quota ad una velocità sempre più elevata, fui costretto a percepire il calore del fuoco che divorava gli edifici e l’acre odore della carne arsa.
Ero ormai convinto che ci saremmo schiantati al suolo quando a pochi metri dall’impatto un violento terremoto squarciò il centro della città creando un’immensa voragine in cui precipitammo. Tutto iniziò a vorticare e nel giro di qualche secondo fui avvolto definitivamente dall’oscurità più profonda.
La leggenda narra che un monaco errante fece questo sogno nella prossimità della montagna dove venne eretto l’antico monastero di Loch. Infatti grazie a questo sogno il monaco fu in grado di trovare la galleria che conduceva all’interno del monte…

