Alith

Podcast:


Orfanotrofio “La Pietà”, Quartiere Bassifondi
Anno 224 dalla Caduta di Loch

La ragazzina, conosciuta da tutti con il nome di Alith, stava correndo disperata nel vicolo che costeggiava l’orfanotrofio da cui era appena fuggita per l’ennesima volta. Le sue mani erano ancora macchiate del sangue di Peter, un altro orfano, che aveva brutalmente pugnalato alla gola con un coccio di terracotta acuminato.

Alith era sicura che ora la sua vita sarebbe cambiata, così come le aveva promesso il suo maestro. Sentiva nuovamente la voce della madre che la chiamava e la rassicurava.

Ricordava che già alla sua prima fuga dall’orfanotrofio aveva sentito una voce chiamarla verso Loch, una voce dolce e femminile che le ricordava tanto quella di sua madre. Incuriosita si era allontanata dall’abitato fino ad infilarsi in un crepaccio, e seguendo quella flebile voce femminile aveva finito per addentrarsi negli oscuri meandri della montagna. Tuttavia, al fondo di una grotta, in un angusto anfratto scarsamente illuminato da decine di flebili candele stracolmo di antiche anfore e recipienti, non aveva trovato una donna ma un uomo anziano rannicchiato in un angolo. Il vecchio era di una magrezza innaturale e aveva il corpo butterato da chissà quale malattia.

L’uomo, con una soave voce femminile, la invitò a non avere paura, ché con lui sarebbe stata al sicuro. Lentamente, come ammaliata, la piccola Alith si avvicinò a quella strana apparizione: due occhi neri e giganteschi la fissarono. Riflesse su quelle due pupille sproporzionate le fiamme delle candele sembravano dotate di vita propria.

Il vecchio non le disse mai il suo nome ma le promise che mai l’avrebbe abbandonata e che avrebbe potuto aiutarla a rivedere sua madre. In cambio chiese solo che Alith si recasse a trovarlo ogni giorno.

Il vecchio dagli occhi lucenti iniziò ad istruirla alle arti arcane e lentamente Alith si accorse di udire la voce della madre chiamarla e rassicurarla ogni volta che infliggeva del male alle persone.

Il vecchio le sussurrò che se voleva rivedere la madre avrebbe dovuto prima riempire con il sangue delle sue vittime tutti gli antichi recipienti che ingombravano la stanza nella quale si incontravano quotidianamente.

Alith acconsentì e il vecchio le donò un’antica e consunta collana per suggellare il loro folle patto.

Locanda “Il Pettirosso stonato”, Quartiere Bassifondi
Anno 237 dalla CadutaCaduda di Loch

Seduta da diverse ore la giovane donna dai capelli corvini fissava l’ingresso dell’osteria in attesa del suo bersaglio. Per ingannare il tempo aveva iniziato ad incidere sul tavolo al quale era appoggiata volgari scarabocchi con il suo pugnale. Il garzone se ne accorse ma non osò intimare alla donna di smetterla, preferì farsi i fatti suoi come era buona regola da quelle parti se si aveva a cuore la propria pelle.

Quella ragazza minuta emanava un aura malvagia, crudele, che faceva raggelare il sangue. S’aprì la porta e un uomo dagli abiti sgargianti, sicuramente un Dignitario, entrò nell’osteria seguito da un manipolo di mercenari armati di tutto punto. Gli occhi di Alith ebbero un fremito vedendo il giovane uomo sedersi ad un tavolo per scambiare qualche fugace parola col Capomastro della Gilda che controllava il locale. Senza dare nell’occhio la donna rinfoderò il pugnale e, coprendosi il viso con il cappuccio del mantello, si portò all’uscita.

Come immaginava, nel vicolo altri quattro mercenari aspettavano il loro protetto importunando coloro che avevano la sfortuna di passare per quella squallida stradina. Approfittando dell’oscurità e della fitta nebbia che aleggiava nell’aria, Alith si nascose nei pressi della locanda, in attesa che la sua preda uscisse. I minuti sembravano ore e la ragazza fremeva dalla voglia di portare a compimento il suo disegno. Il Dignitario, compiaciuto per aver concluso con successo chissà quale riprovevole affare, uscì nel vicolo seguito da suoi lacchè e si mosse verso una strada secondaria diretto ai montacarichi che lo avrebbero ricondotto al sicuro, nel Quartiere Mercatale.

Tutto stava andando secondo i piani e Alith seguì il gruppetto stringendo il pugnale, pronta a scattare non appena fossero giunti dove sapeva.

Nel momento in cui entrarono in una stretta piazza circondata da alti edifici cadenti, Alith diede il segnale ai suoi compagni di Gilda pronunciando un antica litania che le aveva insegnato il suo maestro. Un’intensa forza arcana la attraversò, sconquassandole il corpo, poi una folgore le scaturì dalla mano protesa verso i suoi nemici. Con un boato la saetta schizzò nell’aria e attraversò lo spiazzo centrando due mercenari nemici. La folgore incandescente trapassò sia il ferro sia la carne. I due uomini, con un enorme buco fumante che gli perforava il petto, stramazzarono al suolo senza emettere alcun suono. La scarica elettrica li aveva annientati all’istante senza lasciargli alcuna possibilità. Dagli edifici calò una pioggia di frecce e dardi a investire il manipolo di mercenari che stavano cercando in tutti i modi di proteggere il Dignitario terrorizzato. Purtroppo per loro, l’imboscata era riuscita alla perfezione e nel giro di qualche minuto morirono tutti.

Come precedentemente ordinato da Alith solamente il Dignitario fu lasciato incolume in mezzo a quel manipolo di cadaveri crivellati. Avvicinandosi lentamente alla sua preda Alith schernì l’uomo: “Purtroppo avresti dovuto affidare a me la gestione delle tua scorta pomposo verme!”. Con una mossa fulminea la donna atterrò il Dignitario e gli saltò addosso, bloccandogli le braccia con le ginocchia e iniziò quindi a martoriargli il viso con il pugnale.

L’uomo implorava pietà mentre Alith sfogava con godimento la sua rabbia crudele: le orecchie, il naso, gli occhi. Voleva strappare da quel corpo ogni brandello di umanità. Quando il Dignitario smise di gridare e di muoversi Alith si rialzò, completamente imbrattata di sangue e brandelli di carne: il suo volto era stranamente rilassato, gli occhi erano chiusi.

Come ogni volta, alla fine di un massacro, Alith poteva nuovamente udire la voce della madre ringraziarla per il sangue che aveva versato in suo nome.

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