Adeloth

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Boschi nei pressi della porta esterna di accesso a Dämonen Loch
Anno 254 dalla Caduta di Loch

Era ormai il tramonto di un’uggiosa giornata autunnale, quando dalle tenebre del bosco che circondava la remota cittadina sperduta tra i monti, apparve una figura.

Nel silenzio dell’imbrunire gli abitanti di Dämonen Loch poterono osservare l’uomo in sella al suo possente destriero nero attraversare le folte sterpaglie che separavano i boschi dalle prime case, nei pressi delle mura esterne della città, come se fosse inseguito dalla bruma che risaliva il vorticoso torrente che fuggiva attraverso le impervie rocce delle montagne.

Dall’aspetto e dagli abiti variopinti si capiva che l’uomo non era un abitante del luogo.
Infatti il guerriero aveva viaggiato in lungo in largo per l’Impero in cerca della prossima battaglia da combattere.
Fin da quando era un bambino aveva vissuto la guerra sulla propria pelle: dai campi di battaglia ai duelli mortali, per far valere le pretese di qualche pomposo nobile. A dimostrazione di ciò il suo corpo era ricoperto da numerose cicatrici.

Per la maggior parte si trattava di ferite insignificanti di cui non aveva alcun ricordo specifico. Tuttavia quella sul suo viso, che partiva dal centro della sua fronte e che scendeva fino alla mandibola tagliando in due il sopracciglio destro, aveva un significato particolare: era l’ultimo regalo che il suo patrigno gli aveva lasciato il giorno in cui aveva raggiunto la maggiore età.

Quel giorno anche la madre del guerriero venne uccisa davanti ai suoi occhi.
Dopo un sorriso amaro l’uomo pensò che del patrigno in fondo non rimaneva che un brutto ricordo, la cicatrice sul suo volto ed una tacca sull’elsa della sua spada.

Quando il massiccio guerriero stava per varcare i primi cancelli che lo avrebbero condotto nel ventre della montagna, una guardia cittadina – che forse aveva già bevuto un po’ troppo, come se non avesse né paura di lui né tantomeno della morte – gli si avvicinò intimandogli con le mani di fermarsi.
“Straniero, se vuoi entrare e rimanere in questa città sei il benvenuto ma dovrai donare il tuo cavallo al Buco”.

L’uomo, tirate le briglie, scese dal suo destriero con un agile balzo; il terreno sotto ai suoi piedi scricchiolò per via della sua stazza imponente e virile, in parte ricoperta da una pesante armatura scheggiata ed ammaccata dalle molte battaglie affrontate.

Non curante dei molti occhi che lo osservavano l’uomo prese i suoi pochi effetti personali dalle bisacce legate alla sella dell’animale: poche monete d’oro, un pugnale e la sua affidata claymore.
A quel punto si girò verso il bifolco e con una voce cupa e molto profonda gli disse: “la sella ve la potete tenere, non ne ho più bisogno” dopo aver portato la mano al grosso spadone appoggiato sulla sua spalla continuò “tutto quello di cui ho bisogno è dar da bere alla mia bambina”.
L’armigero leggermente intimorito dai modi dello straniero biascicò: “stai pur tranquillo che per quello sei nel posto giusto”.

Il guerriero con noncuranza passò oltre al gruppetto di uomini che si erano avvicinati al cavallo, bramosi di poter finalmente mangiare carne fresca ma, dopo qualche passo, si sentì strattonare leggermente i pantaloni: era un bambino, magro come uno scheletro ma con profondi occhi vispi
“Come vi chiamate signore?”

L’uomo abbassò lo sguardo verso il moccioso e con una smorfia che ricordava vagamente quella di un sorriso rispose: “Adeloth”.

Vicolo in Dämonen Loch, Quartiere dei Bassifondi
Anno 257 dalla Caduta di Loch

Non capita tutti i giorni di vedere aprire a metà un uomo con un singolo fendente di spada.
Tuttavia il massiccio guerriero di nome Adeloth non era nuovo a questo genere di esibizioni.

La gigantesca spada su cui era incisa a chiare lettere la scritta latina “io sono la morte” aveva iniziato ad aprirsi la strada all’altezza della clavicola, frantumando ossa e lacerando muscoli.

L’arma era talmente pesante ed affilata ed il fendente era stato calato con una tale forza, che la lama continuò la sua corsa aprendosi una strada attraverso il costato e la pancia fermandosi solamente dopo aver spezzato l’osso sacro del povero malcapitato.

Per qualche istante tutti gli uomini che stavano combattendo nel vicolo si fermarono, come impietriti da quella macabra scena.

Adeloth scrollò lo spadone per divincolarlo dalla carcassa che era ancora in piedi davanti a lui: gli occhi vitrei e senz’anima del guerriero che aveva avuto la sfortuna di affrontarlo continuavano a fissarlo. Adorava contemplare quell’espressione di terrore nelle sue vittime poco prima che esalassero il loro ultimo respiro.

Estratta la spada Adeloth strinse l’elsa con entrambe le mani e si rimise in posa da combattimento fissando beffardo i nemici che rimanevano da affrontare.

Questi, dopo essersi scambiati degli sguardi fugaci, trafelati per lo sforzo dello scontro e terrorizzati dalla scena a cui avevano appena assistito, se la diedero a gambe fuggendo in più direzioni e sparendo nel folto dedalo di vicoli che componevano la zona più profonda e oscura di DemLoc.

I compagni di Gilda di Adeloth proruppero in un grido forsennato. Avevano vinto.
L’unico che sembrava poco soddisfatto della vittoria era proprio il massiccio guerriero che per la frustrazione inizio a prendere a calci la testa del cadavere che giaceva inerme ai suoi piedi.

Questo era Adeloth: il suo stile di combattimento non era certo impeccabile ma sicuramente efficace.
Sopra i suoi abiti sgargianti preferiva indossare solamente la corazza ed un solo spallaccio per essere più fluido nei movimenti e mostrare tutta la sua indifferenza nei confronti della morte.

Adeloth era spavaldo e temerario, non combatteva per l’oro o per la fama. Era una macchina per uccidere e trovava appagamento nel clamore nello scontro, nel vedere il sangue sgorgare dagli arti mozzati e dalle grida di disperazione dei suoi nemici mentre diventavano consapevoli della dolorosa fine che li attendeva.

Lui era la morte.

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